Renault Sport crea le vetture che fanno per noi da oltre trentacinque anni. Guidiamo i suoi più grandi successi… e quella che ha stravinto
Gli anni d’oro
Probabilmente su una strada normale si andrebbe più veloci con una Clio Trophy, ma la V6 non cerca la velocità pura. Non l’ha mai cercata
Renault Sport Clio V6 255
PERSINO OGGI, DICIOTTO ANNI DOPO il debutto al Salone dell’auto di Parigi del 1998, la Clio V6 appare ancora meravigliosamente stravagante. Se capita di vederne una sulla strada, attira almeno altrettanta attenzione di una qualunque Ferrari. Osservandola abbastanza a lungo, anche se si sa che ha un antenato a motore centrale nella Renault 5 Turbo, si inizia a chiedersi come sia potuta nascere… Nel lontano 1998, Renault era all’incessante ricerca di alloggio per il motore V6 da 3 litri che aveva sviluppato in collaborazione con PSA.
Era stato anche concepito un programma per inserirlo in una Twingo (con un telaio spider). Ma il top management decise che il successivo progetto Renault Sport doveva essere una Clio. Così l’idea della Clio V6 comparve a Parigi, inizialmente come macchina da pista, con l’annuncio di una serie di gare monomarca. Fu dopo il salone che Christian Contzen (direttore generale di Renault Sport) contattò TWR circa la possibilità di trasformare la Clio V6 in una vettura stradale. Uno degli attori chiave nel progetto fu Stephen Marvin.
Oggi Marvin lavora per Renault Samsung Motors in Corea, ma verso la fine degli anni ‘90 e nei primi anni 2000 lavorava in TWR (per poi entrare in Renault Sport, dove ha ideato macchine come la R26.R). Marvin ricorda che TWR aveva appena tre mesi per la costruzione di due muletti dimostrativi. Uno era giallo, uno era nero; uno era basato su una delle auto da corsa e uno aveva i passaruota arcuati. Entrambi sono stati portati al campo di volo di Kemble all’inizio del 1999 per essere valutati dalla crème de la crème di Renault Sport e TWR. Fortunatamente per noi furono convincenti e, appena 18 mesi dopo, 30 auto erano pronte per il lancio a Nizza.
Marvin ricorda che non erano esattamente pronte per la produzione e ogni sera occorreva una discreta quantità di lavoro per rimediare (in particolare sui cambi) utilizzando l’unico ponte sollevatore a disposizione della squadra presso la concessionaria Renault locale. Noi l’adoravamo. La conclusione di Richard Meaden su evo 026 fu che si trattava di “una delle vetture più desiderabili del pianeta”, concludendo: “Neppure un milione di dollari assicurerebbe un’emozione maggiore”. Tuttavia, forse inevitabilmente per una vettura da strada messa in produzione a partire da una vettura da corsa in così poco tempo, non tutto era perfetto e la prima serie di questa vettura non aveva una buona reputazione in termini di maneggevolezza.
In alto: l’ultima versione introduce una miriade di modifiche al telaio, tra cui carreggiata allargata e passo più lungo, per domare le reazioni ribelli della Fase 1 Sopra: è ancora uno shock vedere quel grande V6 al posto dei sedili posteriori
La distribuzione del peso e la geometria delle sospensioni causavano sia sovrasterzo di potenza sia sovrasterzo indotto da forza laterale, o ciò che Marvin descrive simpaticamente come “l’effetto zaino”. Vi furono anche critiche secondo cui la V6 era sottodimensionata con 230 Cv. Per la versione aggiornata, denominata Fase 2 il responsabile del progetto era sempre Marvin. Il motore fu dotato di pistoni e valvole specifici e di un nuovo collettore di aspirazione (il muletto “scalciava” intorno ai 273 Cv, anche se fu limitato a 255 per la produzione). Furono adottati nuovi rapporti e un cambio rivisto.
Ma il massimo fu la rielaborazione dell’assetto. Più incidenza delle ruote anteriori, più campanatura per quelle posteriori, bracci posteriori più lunghi, supporti superiori più rigidi per dare più sostegno alla campanatura, ammortizzatori più rigidi, tamponi di fine corsa più lunghi e più morbidi, barra stabilizzatrice anteriore più rigida, carreggiata anteriore più larga, passo più lungo, nuovi Michelin progettati su misura… tutto contribuiva a cambiare l’equilibrio. Con solo il 40 per cento del peso totale ripartito all’anteriore, è facile capire perché fosse difficile ottenere la giusta superficie di contatto sugli pneumatici anteriori.
Lanciata nella primavera del 2003, la V6 Fase 2 rappresentò davvero un grande miglioramento. Giunse terza nell’eCoty, battendo tra l’altro sia la Ferrari 360 Challenge Stradale sia la Bmw M3 CSL. Guidarne una oggi è ancora una gioia assoluta. Mi chiedo sempre se la ritroverò lenta e goffa, invece sembra ancora migliore di prima. Il motore V6 è davvero speciale, gira così fluido e con una colonna sonora melliflua che ha nel timbro alcuni elementi del V8. Non è il più veloce nel prendere giri, quindi occorre concedergli tempo nei cambi di marcia, ma sale dolcemente preparandosi la via fino a raggiungere allegramente i 7.000 giri.
Attacchi una curva e tutte quelle vecchie analogie con il modello 911 tornano a sommergerti. Il frontale sembra leggero e tende ad allargare la traiettoria in appoggio, il volante dall’inconsueta angolazione si allegge risce tra le mani, ma non tanto da rischiare di perdere il controllo o creare disagio. Occorre solo gestire l’aderenza anteriore per poi lasciare fare alla trazione. Probabilmente su una strada normale si andrebbe più veloci al volante di una Clio Trophy, tante sono le libertà concesse da quella teppista a trazione anteriore, ma la V6 non cerca la velocità pura.
Non l’ha mai cercata. Con il passare del tempo, è più incredibile che mai che Renault abbia approvato non solo una, ma ben due versioni della Clio V6. È folle ma brillante e, per me, i suoi difetti in qualche modo rendono ancora più facile amarla. In realtà, sarebbe ora che Renault Sport creasse un’altra meraviglia dal motore pazzesco. L’attuale Twingo ha l’equipaggiamento da corsa al posto giusto. Mi chiedo che cosa ci sia da spremere lì…
Renault Sport Clio V6 255
Motore V6, 2.946 cc Potenza 255 Cv @ 7.150 giri Coppia 300 Nm @ 4.650rpm Peso 1.400kg (5,5 kg/Cv) 0-100 km/h 5.8 sec (dich.) Vel. max 246 km/h (dich.) In vendita 2003-2005 Rating
Renault Sport Clio Trophy
Renault Sport Clio Trophy
GLI INTERNI DELLA CLIO TROPHY sono, a essere franchi, un po’ carenti. Il volante è rivestito in un materiale che assomiglia con buona approssimazione alla pelle, eppure riesce a essere lucido e appiccicoso allo stesso tempo. La plastica della plancia pare all’aspetto e al tatto così fragile da temere che uno scivolone al cambio marcia riesca a bucarla da parte a parte. Eppure, lungi dall’essere un problema importante, gli interni scadenti fanno parte di ciò che rende la Trophy così unica. Nella Trophy si parla solo del necessario. Si tratta di ciò che è necessario per renderla veloce, divertente, incandescente. Quindi, niente pannelli di carrozzeria in fibra di carbonio o cristalli in perspex perché gli interni back-to-basics e la mancanza di lussi fanno risparmiare parecchio peso. E non c’è più potenza di quella standard di Renault Sport Clio 182, perché i 182 Cv del quattro cilindri a 16 valvole aspirato da 2 litri sono perfettamente sufficienti.
Invece è equipaggiata con sedili anteriori Recaro con seduta 10 mm più bassa di quelli standard, con lo spoiler della Clio V6, vernice rossa, ruote in lega leggera Speedline e, soprattutto, ammortizzatori con serbatoio separato. Sembra folle suggerire che ammortizzatori che costano dieci volte il prezzo di quelli montati su una vettura già molto maneggevole come la Clio 182 Cup siano indispensabili ma, 200 metri di strada e un paio di curve dopo, ci si convince di non poterne fare a meno. Questi ammortizzatori davvero speciali sono realizzati da Sachs Race Engineering.
Le loro caratteristiche di compressione ed estensione sono diverse da quelli della 182 e comprendono anche paracolpi idraulici in modo da poter abbassare l’altezza da terra senza preoccuparsi che la sospensione raggiunga subito il fondocorsa. Anche le aste degli ammortizzatori hanno un diametro maggiorato, il che significa che possono continuare a lavorare in modo altrettanto efficace anche in presenza di carichi laterali elevati. Un serbatoio esterno è necessario per accogliere l’olio spostato dall’asta più larga. L’esperienza di guida è impressionante almeno quanto la teoria. Le prime curve sono una rivelazione; la risposta immediata dell’avantreno della Trophy è a dir poco sorprendente. Eppure si è ben consapevoli che non è tutto qui.
Lo sterzo e il telaio trasmettono tali dettagli sul duro lavoro degli pneumatici che sai subito di doverti impegnare molto di più di quelle prime curve esplorative per cominciare davvero a sentire tutto ciò che la Trophy ha da offrire. Anche quando ti ha spronato alla velocità a cui le piace andare, c’è ancora tanta aderenza. Non si tratta solo di ritmo, però. La Trophy risponde doverosamente a ogni sollecitazione e ciascuno dei suoi comandi permette di manipolarne l’equilibrio. L’avantreno è così incollato a terra che puoi iniziare a usare la perdita di aderenza della coda per disegnare la traiettoria più redditizia.
Non ci sono però i grandi sovrasterzi con sollevamento della ruota interna delle compatte sportive di vecchia scuola; è tutto molto più sfumato perché puoi stabilire l’angolo perfetto usando nel modo giusto sterzo, freni e acceleratore ma senza mai rischiare di arrivare al testa-coda. Le umili origini della Trophy si rivelano quando la scocca perde la lotta con le sospensioni rigide, vibrando e tremando sui dossi. Tuttavia, quell’assetto rigido significa che non c’è da impigrirsi e la Trophy risponde immediatamente a ogni contrazione del piede destro e torsione dei polsi.
È talmente precisa che il peso indicato di 1.090 kg pare davvero troppo. La Clio V6 può avere un aspetto più selvaggio e le Mégane R26.R e Trophy-R possono essere più focalizzate alla prestazione pura, ma la piccola Trophy rappresenta la filosofia di Renault Sport nel modo più semplice. Resta sempre una Clio, ma un manipolo di talentuosi ingegneri è intervenuto implementando tutto ciò che di più prezioso c’è per realizzare un’auto davvero performante. Ingegneri che preferiscono ammortizzatori di qualità a plastiche interne di lusso.
Sport Clio Trophy
Motore 4-cil in linea, 1.998cc Potenza 182 Cv @ 6.500 giri Coppia 200 Nm @ 5.250 giri Peso 1.090kg (5,9 kg/Cv) 0-100 km/h 6,6 sec (rilevati) Vel. max 225 km/h (dich.) In vendita 2005-2006
Renault Sport Spider
Renault Sport Spider
A METÀ DEGLI ANNI NOVANTA ABBIAMO assistito alla rinascita della vettura sportiva a due posti. Proprio come oggi fioriscono le compatte sportive, due decenni fa chi cercava sul mercato qualcosa di basso, agile ed emozionante aveva solo l’imbarazzo della scelta. Sicuramente più emozionanti delle compatte sportive dell’epoca (Golf GTI Mk3, ad esempio?). Mentre le compatte sportive non erano mai state così brutte, per quanto riguarda le sportive pure non era mai andata meglio.
TVR era in piena fioritura con la Griffith e la Chimera, la Mazda MX-5 non poteva sbagliare, Bmw e Mercedes-Benz spalleggiavano completamente la rinascita della roadster, per non parlare di Porsche con il modello Boxster. E poi c’erano i piccoli specialisti inglesi di auto sportive. Caterham aveva colto l’opportunità per espandersi dalla costruzione di Seven sviluppando la 21, ma purtroppo non ebbe il successo che le sue linee svelte promettevano. Evante si proponeva con la sua decappottabile in stile Elan classico e Ginetta si rivolgeva alla vecchia scuola montando un motore Rover V8 nella G33. Probabilmente la migliore di tutte fu la sublime Elise di Lotus, una vettura che è ancora oggi in produzione e lo sarà fino al 2020, quando verrà rivelata la prima Elise tutta nuova dopo 24 anni.
C’è un altro nome da aggiungere al ruolino d’onore delle sportive a metà degli anni ‘90: la Renault Sport Spider. Abbiamo rivisitato la Spider nel numero 183 ma, per tutti coloro che possono esserselo perso, ecco un breve riepilogo. Presentata al salone di Ginevra nel 1995 e lanciata l’anno successivo, la Spider ha un telaio scatolato in alluminio, un corpo in fibra di vetro e il 2 litri a 16 valvole della Clio Williams, ottenendo 150 Cv e 184 Nm di coppia in una macchina del peso di 930 kg. Le 96 Spider vendute nel Regno Unito erano equipaggiate con parabrezza tradizionale anziché con il deflettore montato sulla vettura da esposizione e sugli esemplari venduti in altri mercati.
In tutto, la Renault ne ha vendute 1.685, una cifra schiacciata dalle 10.619 Elise Serie 1 vendute da Lotus. Deve essere stata una bella delusione, a Parigi. Naturalmente, la vendita di solo un sesto rispetto alla rivale contemporanea ha donato lo stato di vero e proprio cult alla Sport Spider, 20 anni dopo. Voglio dire, quando è stata l’ultima volta che ne abbiamo vista una? Lo ricorderemmo, tra l’altro, perché pur essendo bassa come è facile indovinare, è molto più larga di quanto si possa immaginare, con grandi fianchi sinuosi esagerati dal design piatto della parte superiore del corpo.
Le ruote sono nascoste nella carrozzeria e, rispetto alla maggior parte delle rivali dell’epoca, la Spider sembrava meno agile delle roadster, con il telaio largo e pesante che ne gonfiava le proporzioni. Anche il roll bar eccessivamente alto non aiutava, ma la Sport Spider aveva anche un mandato di sport cui rispondere e questo era il modo migliore di soddisfarlo. Guidare una S1 Elise oggi può ancora suscitare il senso di meraviglia che provavano i collaudatori dell’epoca.
La Spider non arriva a queste vette. Il motore Clio non impegna, il cambio fa apparire quello di Elise arguto e preciso, mentre lo sterzo non assistito non fornisce alcuno dei benefici attesi da tale scelta. La si percepisce un poco piatta; più auto da esposizione che non da piloti. Come per un certo numero di sue rivali contemporanee degli anni ‘90, il fascino che esercitava parcheggiata a lato del marciapiede non si è mai tradotto del tutto in piacere di guida. Insomma, talvolta, il troppo stroppia.
Sport Spider
Motore 4-cil in linea, 1.998cc Potenza 150 Cv @ 6.000 giri Coppia 184 Nm @ 4.500 giri Peso 930 kg (6,2 kg/Cv) 0-100 km/h 6,5 sec (dich.) Vel. max 210 km/h (dich.) In vendita 1996-1999